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Lectio dal 27.6.24

154 – 27 Giugno 2024 –
Miele: 1Ts 4,13.17-18

 

In un momento in cui la nostra comunità (cittadina ed ecclesiale) sta vivendo un episodio umanamente terribile (un uomo che per denaro, sembra, ha ucciso suo padre e sua madre) accogliamo con fede e con cuore umanamente disponibile una Parola di vita e di speranza dalla prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi:

 

[13] Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. [14] Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti.

[17] quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore. [18] Confortatevi dunque a vicenda con queste parole.

 

Dinanzi allo sbigottimento che sempre provoca la morte l’universo cambiato di senso da parte di Gesù si riversa come “fiume vitale” anche sulla morte: dalla morte – risurrezione di Gesù alla nostra morte – speranza di risurrezione è un attimo, presente da subito nell’annuncio cristiano fin dall’inizio.

Ecco allora il “miele” di giovedì che dà luce e sapore buono anche al “saporaccio” della morte. Le cose stavano così: solo qualche anno dopo il passaggio di Paolo a Tessalonica e la costituzione della  comunità cristiana, qualcuno dei credenti cominciano a morire. Ora Paolo aveva diffuso nelle comunità la convinzione che aveva lui stesso: “il Signore ritornerà molto presto e noi credenti, vivi al momento del ritorno, saremo per sempre con lui”.

Ma a Tessalonica, pur con tutto l’affetto verso l’Apostolo, questa certezza comincia a vacillare quando qualcuno dei fratelli muore prima del ritorno del Signore.

E Paolo non si fa certo spiegare a dare una parola ispirata che sarà nutrimento per tutti i secoli cristiani: voi non potete e non dove essere tristi “come quelli che non hanno la speranza”.

Dopo Gesù il mondo si divide in due appartenenze: chi ha e nutre la speranza e chi non ha la speranza. Ora la speranza può essere fondata e nutrita solo su Gesù morto e risorto e vivente per sempre. La speranza è essere attaccati a lui con la fede e con l’amore per sempre. Il mondo non ha la speranza, noi credenti possiamo e dobbiamo averla.

E quale sarà la finale del cammino della speranza? Paolo non si dilunga per niente a spegare il come, il dove, il perché, il quando ecc.. della vita che ci attende in Cristo. Lui dice una cosa semplice eppure assolutamente onnicomprensiva: “saremo per sempre con il Signore”. Non importa e non dobbiamo sapere né il come, né il dove né il quando. A noi credenti deve bastare il sapere che non siamo perduti, che non scenderemo nel regno delle ombre, che non saremo distrutti per sempre. La certezza, infinitamente rafforzata nella Pasqua di Cristo e nel fatto che egli siede per sempre alla destra del Padre e intercede per noi, è quella di Giobbe nei versetti del capitolo 19:

[25] Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!

[26] Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio.

[27] Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro.

A noi dunque si addice la certezza della vita, la gioia (magari un po’ contenuta ancora!) e non possiamo “essere come quelli che non hanno la speranza”!!